Zero come O di legno

Episode 1 July 15, 2024 00:19:05
Zero come O di legno
Parola di Shakespeare
Zero come O di legno

Jul 15 2024 | 00:19:05

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Show Notes

Partiamo con la O. Ma di solito non si comincia dalla A per arrivare alla Z? Non per capire le strategie di comunicazione ispirate da William Shakespeare! Lasciamoci trasportare su un palcoscenico inglese del XVI secolo e scopriamo perché le parole del bardo di Stratford sono difficili, ma funzionano benissimo ancora oggi. 

Produzione Unige Radio.
Le voci e i testi sono di Elisabetta Delponte e Dario Turrini, l’editing audio e il montaggio di Nadia Denurchis.

Grafiche di Sonia Zanat.
Music by Vlad Krotov from Pixabay

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Episode Transcript

“… miei signori, perdonate le menti basse e piatte che hanno ardito portare su questo indegno palco un argomento così grande: potrebbe mai infatti questa platea contenere i vasti campi di Francia o potremmo stipare in questa O di legno anche i soli elmi che impaurirono l’aria stessa ad Azincourt?” E: E se i campi di Francia non ci stavano tutti dentro una O di Legno, potranno forse essere contenuti in questo studio di registrazione dell'Università di Genova, dove a malapena ci stiamo io e te Dario? D: Azincourt, O di Legno, campi di Francia… mi sembra che tu stia mettendo troppa carne al fuoco, per continuare con le metafore. Elisabetta, credo che sia meglio riavvolgere il nastro e partire dalle basi, per farci seguire dai nostri 25 ascoltatori. E: Hai ragione Dario! Ripartiamo. Queste erano parole di William Shakespeare, dal suo dramma Enrico V e sono pronunciate nel Prologo dal Coro. Un coro proprio come quello delle opere del teatro Greco? D: Ecco, ora non mi spingerei così indietro fino al teatro classico… cerchiamo di restare concentrati: stiamo parlando di teatro Elisabettiano e di come tutto sia iniziato. Io sono Dario Turrini… E: …e io Elisabetta Delponte, e questo podcast è Parola di Shakespeare: comunicazione efficace per il mondo del lavoro… e non solo. Partendo dai testi del drammaturgo inglese, scopriremo insieme il potere delle parole e delle strategie di persuasione. D: Benissimo! Torniamo quindi alle parole del bardo inglese, e concentriamoci sulla “O di Legno”, di cosa staremo mai parlando? E: Ecco, cominciamo con le difficoltà… perché vogliamo dirlo? William Shakespeare è difficile! D: Beh… in un certo senso… E: Ma dai, ti pare che dire (cito la battuta di Romeo dopo che ha ucciso Tebaldo, cugino di Giulietta): Non mi ritiene un assassino incallito ora che ho macchiato l’infanzia della nostra gioia con sangue tanto vicino al suo? Significhi in realtà: Mi considera un mascalzone visto che ho ammazzato suo cugino?... no? D: Certo questo è più immediato… E: Oppure, sempre da Romeo e Giulietta: Questo germoglio d’amore, maturato dal dolce vento dell’estate sarà uno splendido fiore al nostro prossimo incontro; non bastava dire… D: Ti amo più di ieri e meno di domani? Mi sembra un po’ una frase da cioccolatino, ma se tu la preferisci… E: No certo, però… ecco un principio ispiratore del design moderno nato in architettura e che poi si è esteso a qualsiasi ambito, incluso quello comunicativo è “Less is more”, che non mi sembra si possa applicare ai dialoghi Shakespeariani… D: in un certo senso… less is more forse non si può riferire ai dialoghi, ma a tutto quello che stava intorno ai dialoghi! E: Spiegati meglio… D: ci arriviamo. Ma per prima cosa vediamo insieme come funzionava il teatro in Inghilterra nella seconda metà del XVI secolo. E: Così? ... no dico subito all’inizio la lezione di storia? D: Guarda che è interessantissimo e anche i nostri ascoltatori si appassioneranno. E: sentiamo… D: Verso la metà del 1500, in Inghilterra, che, lo ricordo non era affatto quella potenza militare e culturale che sarebbe poi diventata, le forme tipiche del teatro medievale si stavano esaurendo. Lo spettacolo, nel medioevo, era stato sostanzialmente da una parte il teatro occasionale di giullari, menestrelli e piccole compagnie girovaghe di saltimbanchi, dall’altra teatro religioso, coi drammi sacri, nelle ricorrenze festive, e i misteri. E: I misteri? Sii più chiaro, non fare… il misterioso. DARIO: I misteri erano l’evoluzione dello spettacolo religioso che aveva come temi le storie della Bibbia o del Nuovo Testamento. I misteri erano grandi spettacoli all’aperto che avevano per protagonisti persone comuni, anziché i personaggi sacri, ma ancora con un forte spirito mistico-religioso. Il più famoso è sopravvissuto fino ad oggi e si ripete ogni anno a Salisburgo: Jederman, tradotto: Ognuno; e racconta degli ultimi giorni di un uomo (che rappresenta ognuno di noi, appunto) al quale la morte è venuta far visita preannunciandogli la sua dipartita. È un dramma allegorico dove i personaggi sono la Carità, la Misericordia, le Buone Opere ecc. E: Ma il teatro elisabettiano quando arriva? D: Con l’avvento al trono della regina Elisabetta, ovvio: nel 1553. Pochi anni dopo la sua incoronazione Elisabetta si rese conto che con l’infuriare della Riforma protestante, del 1517, i drammi sacri e i misteri erano diventati pretesti per tumulti e disordini tra le varie fazioni religiose, così decise di abolirli. E: Requiem per il teatro medievale e…? D: Ed esattamente nel 1576 accade un fatto storico: un carpentiere, tale John Burbage, fa una scommessa. E: Alle corse dei cani? E questo sarebbe un evento storico? D: No, scommette sulla fame di spettacoli del popolo londinese, ormai abituato a questo genere di intrattenimenti: scommette sulla costruzione di un teatro. E: Il primo teatro inglese, dunque. D: Esatto e lo battezza con un nome che diventerà iconico. E: Il Globe! D: No, quello sorgerà più di vent’anni dopo. Il suo teatro, Burbage lo chiama… The Theatre! E: Wow, che fantasia! Allora quando arriva Shakespeare? D: Quello che ci interessa e che si riconduce al less is more è proprio l’edificio teatrale, la sua forma e la sua struttura. E: la O di legno! D: Esatto! La O di legno è la forma (rotonda) dell’edificio teatrale. Provo a descriverlo. I teatri di quel periodo erano abbastanza tutti simili ed erano costruiti in legno e di forma rotonda, sostanzialmente c’era una platea circolare circondata tra 4 o 5 ordini di palchi tutt’intorno. E: Beh, più o meno come i nostri teatri di oggi… D: Non proprio perchè il palcoscenico non era in fondo alla platea, come nei teatri di oggi, ma era aggettante tra il pubblico. Era cioè un quadrato sopraelevato di circa un metro che occupava gran parte della platea. E: Fammi capire… quindi gli attori recitavano sostanzialmente in mezzo al pubblico. D: Esatto il pubblico sia quello in piedi in platea sia quello dei palchi, circondava quasi completamente gli attori. Ed ecco perché è così interessante per noi e questa struttura fisica è la base dell’importanza di Shakespeare per il nostro podcast… E: Giusto! Hai ragione…(pausa) no, non ho capito: perché, scusa? D: Perché in quel tipo di teatro non era possibile alcun tipo di scenografia, al massimo un trono e un tavolo che venivano calati dall’alto all’occorrenza. E qui ci ricolleghiamo al less is more. E: Il non avere possibilità di usare scenografie, la semplicità dell’allestimento, mette quindi tutta l’attanzione sulle parole. È nelle parole che ci dev’essere quel “di più”. D: Proprio così: erano gli attori stessi, e i testi che recitavano, che dovevano raccontare al pubblico dove si svolgeva l’azione. E le ritroviamo spessissimo queste indicazioni… se io ti leggo questo dialogo senza premetterti nulla: AMLETO FRANCESCO Fermo dove sei! La parola: fatti riconoscere. BERNARDO Lunga vita al re. FRANCESCO Bernardo? BERNARDO Lui. FRANCESCO Sei molto puntuale. BERNARDO E’ mezzanotte suonata. Vattene a letto Francesco. FRANCESCO Grazie per il cambio; è un freddo feroce, da stringere il cuore. BERNARDO La guardia è stata tranquilla? FRANCESCO Non si è mosso un topo. BERNARDO Buona notte dunque. Se incontrassi i miei compagni di guardia, Orazio e Marcello, dì che si affrettino. DARIO Tu cosa hai capito? ELISAB. Beh, che è mezzanotte, che c’è un… cambio della guardia, che è freddo e che siamo all’aperto… DARIO Esatto: siamo sugli spalti di un castello in Danimarca e quindi stiamo recitando…? ELISAB. L’Otello! Scherzo! Volevo vedere se eri attento… l’Amleto…scusa… DARIO Ma torniamo al monologo dell’Enrico V, perchè è qui che Shakespeare ci svela chiaramente la grande finzione del teatro elisabettiano. Ad esempio quando dice; “potrebbe mai questa platea contenere i vasti campi di Francia…?” Ci sta dicendo dove si svolge l’azione e cosa debbono “vedere” nella loro immaginazione gli spettatori. ELISAB. Ma i cavalli e gli zoccoli…? Non sono mica scenografie… DARIO Giusta osservazione che ci apre al senso di Shakespeare per il nostro podcast e per i manager e per tutti quelli che vogliono migliorare la proprie strategie persuasive. ELISAB. Oh, finalmente sono sicura che il pubblico scalpita anche lui in attesa di questo. DARIO La frase centrale del monologo è questa: lasciateci mettere in moto le forze della vostra immaginazione… colmate col vostro pensiero le nostre lacune…” ELISAB. Ah, dunque il teatro di Shakespeare è un teatro dell’immaginazione… DARIO Mi piace di più un teatro del pensiero. Shakespeare usa le parole… difficili abbiamo detto, e ora vedremo perché, per parlare all’immaginazione, al pensiero del pubblico. ELISAB. Quindi più che difficili potremmo dire suggestive, evocative, come quelle del monologo. DARIO Esatto Shakespeare ha la capacità di parlare al nostro cuore attraverso le immagini e i pensieri che fa arrivare al nostro cervello. I suoi racconti, e ce ne sono moltissimi nelle sue opere, ci suggestionano con la loro forza evocativa e soprattutto narrativa. Ascolta, questo è il Sogno di una notte di mezz’estate. ELISAB. Ah, il sogno di una notte di mezz’estate… eh, questa la conosco benissimo (Pausa) sul serio! Non mi credi? allora ti dico che ci sono ben 4 trame che si intrecciano: i quattro ragazzi ateniesi e i loro problemi di amore, la corte ateniese che prepara le nozze di Teseo e Ippolita, gli intrecci bislacchi delle fate e dei folletti del bosco e le vicende degli artigiani che vogliono mettere in scena un “dramma di una dozzina di parole, ma che ha dodici parole di troppo” DARIO Bravissima, quello che sto per leggere è un monologo di Oberon, re degli elfi, che vuole vendicarsi della capricciosa consorte Titania e ordisce una beffa. Dà incarico a Puck, il suo folletto di trovare un fiore magico che gli servirà per fare innamorare Titania addirittura di un somaro e così racconta a Puck la storia del fiore: OBERON (Atto II, scena 1; da: “Fu quella volta che io vidi…) Quella sera io vidi volar fra la terra e la luna Cupido armato del suo arco. Prese di mira una bella vestale seduta su un trono in occidente e scoccò la sua freccia d’amore come se volesse trafiggere migliaia di cuori. Ma io vidi che la sua freccia ardente fallì il bersaglio e si spense nei raggi della liquida luna, così che la giovinetta proseguì la sua strada senza alcun sentimento d’amore nel cuore. Però io vidi bene dove andò a cadere la freccia di Cupido: colpì un piccolo fiore occiduo che prima era bianco come il latte ed ora invece era divenuto tutto vermiglio per la ferita d’amore: il succo che se ne spreme, fatto cadere sulle palpebre di chi dorme -uomo o donna che sia, lo farà innamorare della prima creatura vivente che veda al risveglio. Trovami quel fiore Puck. ELISAB. Questo sì che è storytelling! In poche righe, il nostro William riesce a far narrare a Oberon una vicenda immaginifica, che sarebbe stata anche troppo complicata da rappresentare fisicamente sulla scena della nostra O di legno. Ecco, con estrema abilità narrativa, le parole dipingono un’immagine chiara e visibile per tutti gli spettatori. Ed è un esempio chiarissimo di come possiamo coinvolgere qualcuno, che sia uno studente, un collega, un cliente, con un breve racconto per immagini, una storia personale, un aneddoto, che serve proprio a rendere tangibile un concetto: la luna, la vestale, la freccia e il fiore che da bianco, diviene rosso acquisendo un potere magico. DARIO Dunque, in sintesi Shakespeare doveva scrivere in quel modo ridondante e immaginifico perché doveva dare ai suoi attori un materiale testuale talmente ricco che permettesse loro di tenere sempre alta l’attenzione del pubblico. ELISAB. Ma come facevano a tenere l’attenzione, come dici tu, se un dramma di Shakespeare, anche uno dei più brevi, dura almeno tre ore? DARIO E aggiungo: gli spettacoli si facevano all’aperto e i pomeriggi in Inghilterra, d’inverno, non erano certo climaticamente piacevoli. ELISAB. E se ho capito bene il pubblico della platea, i posti più popolari, stava in piedi. DARIO E il 70% degli uomini e il 90% delle donne era analfabeta! ELISAB. E lui scriveva in quel modo abbastanza difficile anche oggi per noi laureati. È davvero un mistero affascinante. DARIO Credo dunque che scoprire i segreti dei testi di Shakespeare, veri miracoli di suggestione, sia trovare preziosissimi tesori di comunicazione efficace. ELISAB. Bene, mi hai convinto: facciamo il podcast! DARIO Guarda che l’abbiamo appena fatto. ELISAB. Cosa? DARIO La prima puntata del nostro podcast. ELISAB. Ma… questa non era una prova? La… come si dice? Puntata zero? DARIO No, no, abbiamo registrato tutto! ELISAB. Ma io non sono sicura di aver detto sempre cose giuste… DARIO Tranquilla sei stata fantastica. ELISAB. Non potremmo riascoltarlo? DARIO Riascoltare tutto ora no, ma sono sicuro che tu abbia preso qualche appunto chiaro e riassuntivo da condividere con i nostri ascoltatori: ELISAB. 1. Perché è nato il teatro elisabettiano? DARIO In un certo senso potremmo dire che sia nato come reazione a una forma di repressione: quando Elisabetta I abolì i misteri, cioè quegli spettacoli a tema religioso che causavano troppi tumulti, i londinesi del XVI secolo avevano comunque così tanta voglia di andare a teatro che John Babbage costruì “The theatre”, il primo teatro. ELISAB. 2. Perché abbiamo parlato della O di Legno? DARIO La forma essenziale del teatro elisabettiano, il non avere scenografie e il fatto che il pubblico dovesse esser catturato soprattutto con l’immaginazione ha fatto sì che Shakespeare utilizzasse dialoghi molto visuali per coinvolgere il pubblico ELISAB. 3. Perché Shakespeare è difficile, ma funziona? DARIO È difficile sì, ma è un campione di storytelling: Gli aneddoti personali arricchiscono il discorso, chiariscono concetti e mantengono alta l'attenzione. Per gestire i tempi, l’oratore può alternare momenti complessi a storie leggere che rinfrescano l'attenzione del pubblico, preparandolo a ricevere nuove informazioni. ELISAB. 4. Qual è il prossimo episodio di Parola di Shakespeare? DARIO Nel prossimo episodio parleremo di come coinvolgere di più chi ci ascolta e lo impareremo andando a rileggere alcuni dei monologhi più famosi di Mercuzio, Jacques… Ovviamente oltre a William Shakespeare ci saranno ancora Elisabetta Delponte…

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